Carlito’s Way
Paul Auster
Mr. Vertigo a spasso con Mr. Bones
La mattina del Primo Maggio, mentre preparavo il mio caffè del mattino e pensavo al significato del #primomaggio, a questo primomaggio, a quelli che sono passati e a quelli che potrebbero essere, dal mio IPhone ho appreso della sua morte, Maestro. Una piccola vertigine, lei saprebbe cosa intendo. Dal giorno dopo sono sparite le notizie dal widget dell’IPhone. Lei sarebbe riuscito a trarre un racconto da questa insignificante casualità.
Forse l’avrebbe affidato a Seymour Baumgartner, il grande personaggio del suo ultimo libro, al quale ha permesso, nel suo tardo eremitaggio, di chiedersi una cosa che ci chiediamo tutti: “perché ricordiamo certi momenti e ne dimentichiamo altri? Che cosa resta di noi quando non ci siamo più?”.
A me resterà molto di lei. Anche la strana associazione tra il suo Baumgartner e Black Star, l’ultimo capolavoro di David Bowie: annunci consapevoli di un’evitabile fine intimamente ricca di storie potenti vissute e fatte immaginare. Sono le intersezioni che accadono nelle nostre menti che si trasformano in intuizioni così paradossali da fissarsi come ancore di ricordi.
Mi resterà molto perché molto mi ha “dato da fare”: è stato impegnativo addentrarsi negli intrecci di “4-3-2-1” (in questo caso l’associazione è stata con Italo Calvino nel Castello dei Destini Incrociati, anche se avete espresso generi diversissimi, lei è stato definito “postmoderno”, Italo Calvino un “neorealista”, anche se io vedo un’analoga ricerca di trasparenza e capacità espressiva), per non parlare di “Ragazzo in Fiamme – vita e opere di Stephen Crane, un’opera monumentale di 940 pagine dedicata a un personaggio straordinario di vita breve ma intensissima alla quale lei ha saputo dare una luce senza precedenti; ho fatto fatica a leggerlo, glielo confesso, ma quella vita ha meritato ogni singola pagina.
E poi la “Trilogia di New York” che mi ha fatto passeggiare per Brooklin guardando le strade, le porte le finestre e i palazzi esplorandoli con l’immaginazione e con l’attenzione di uno sguardo che non avrei avuto, l’ “Invenzione della Solitudine”, che si deve leggere solo per il titolo, e tutti gli altri, che non serve citare.
Maestro, le voglio dire però una cosa, non importa se non potrà ascoltarla, tanto non lo avrebbe fatto lo stesso perché le mie parole non le sarebbero mai arrivate: a me resteranno di lei soprattutto due opere che, in questi giorni in cui la si ricorda, sono meno citati di altri, ma che personalmente non considero certo tra le sue “opere minori”.
Era il 1995, un anno per me difficile, di un’oscurità densa da dare le vertigini, e lì, proprio lì, incontrai “Mr. Vertigo”. Walt era Mr. Vertigo, un fenomeno alla ricerca di un equilibrio tra il dono della straordinarietà e la ricerca della normalità, e lei ad un certo punto gli fece dire queste parole: “a emozionarmi era l’imprevedibilità, l’avventura di non sapere mai da uno spettacolo all’altro che cosa sarebbe successo. Se ti metti in mente solo di farti amare, di ingraziarti i favori della gente, sei destinato a prendere delle cattive abitudini, e alla fine il pubblico si stanca. Devi continuare a metterti alla prova, a sfidare il tuo talento all’estremo. Lo fai per te stesso, ma è proprio la lotta tesa al miglioramento continuo che più di ogni cosa ti conquista la stima degli spettatori. E’ tutto lì il paradosso. La gente si mette in testa che stai rischiando per tutti. Si sentono autorizzati a prendere parte al mistero, a condividere la spinta ineffabile che ti fa fare quello che fai […]”.
Ci sono parole che non hai scritto tu, in certi momenti della vita, che stai cercando e se le trovi non le dimentichi più; ecco, queste parole scritte da lei, un romanziere, non un esperto di management o altro vicino alla mia professione, mi hanno sempre accompagnato, e per questo lei è diventato una presenza, letteraria, s’intende.
Allora non c’erano i social, e poi certe cose si tengono dentro, ma più volte ultimamente, soprattutto ultimamente, ho avuto la tentazione di fare un bel copy-paste a commento di certe banali stupidaggini di aspiranti Mr. Vertigo. Ma questa è un’altra storia, è una digressione, e non credo che lei la gradirebbe, andiamo oltre.
Qualche anno dopo, nel 2000, lei mi ha fatto “incontrare” Mr. Bones e Willy, in “Timbuctù”.
Avevo con me il mio primo cane, il primo della mia vita, e mai avrei immaginato, come spesso accade, quello che intimamente mi avrebbe dato, quanti “perché ci ricordiamo di certi momenti”.
Tra la pletora di libri commoventi e spesso stucchevoli dedicati agli animali compagni di vita, lei ha fatto parlare il cane, alla ricerca di un luogo immaginario dove ci si capisce al volo senza tanti fronzoli, senza umanizzare l’animale come quasi sempre accade, bensì facendo intuire con ironia, leggerezza e profondità come potremmo apprendere la loro anima, non tanto il loro linguaggio.
Quel passaggio sulla “filosofia del cane” espressa da Mr. Bone alla ricerca del suo percorso di vita spesso non compreso dagli umani, è leggendario.
Ho donato questo libro, sempre per “ricordarsi di certi momenti”.
Ora, sicuramente uscirà un suo romanzo postumo e anche inediti, quelli non mancano mai.
A me basta che mi abbia permesso di ricordarmi di certi momenti, e per questo la voglio ricordare, e immaginare che Mr. Vertigo e Willy stiano passeggiando con Mr. Bones (senza giunzaglio), a Timbuctù.
Maestro, grazie.