Il 31 Gennaio 1996 Carlito ha visto questo iceberg, in Antartide, il primo di una inimmaginabile teoria.
Dopo un paio di viaggi in Patagonia arrivammo alla fine della Ruta 40, a Ushuaia, dove ancora oggi campeggia un cartello stradale “fin del mundo”, con scritto “qui finisce la strada, dopo non c’è più niente”.
Irresistibile, per il desiderio di andare oltre.
Ma come “non c’è più niente”, c’è Capo Horn, c’è il Mare Antartico, c’è il Continente Antartico, solo che non c’è la strada. Un richiamo irresistibile. Così decidemmo, io e i miei amici Raffaele e Marco, di cercare quella strada che andava oltre, ed investimmo i nostri risparmi in quel viaggio estremo. Navigammo sulla rompighiaccio “Alla Tarassova” dell’ex marina militare sovietica, riconvertita in nave civile per spedizioni scientifiche in Antartide, con alcune cabine disponibili per viaggiatori selezionati dopo un lungo e complesso iter burocratico. Non vi racconto il viaggio perchè sarebbe una lettera d’amore e, come disse Fernando Pessoa, “ogni lettera d’amore è ridicola”, per il semplice fatto che solo tu conosci le sfumature che ci stanno dentro. Solo i ricordi più indelebili che contribuiscono a fare di una viaggio un elemento stabile della tua personalità:
nessuno su quella nave ci chiese “cosa fai nella vita”, non valeva nulla il biglietto da visita che in genere caratterizza chi siamo attraverso il “cosa facciamo”, contava solo essere là;
la scoperta che il bianco non è un colore univoco: dopo pochi giorni scoprimmo che esistono diversi tipi di bianco e, credete a Carlito, fu una scoperta percettiva di grande valenza formativa, e la risposta a chi chiedeva “ma cosa vai a fare laggiù, fa freddo ed è tutto bianco”, vabbè;
l’addio degli albatros alla convergenza antartica, quando l’oceano si fonde con il mare antartico: il capitano ci disse “quando suonerò avremo attraversato la convergenza antartica oltre il 60° parallelo sud e saremo in Antartide, salutate gli albatros che ci hanno seguito fino ad ora, torneranno indietro in quel preciso momento, perchè non è il loro ambiente”; e così fu, quegli immensi uccelli abbandonarono la scorta alla nave e tornarono indietro, un arrivederci indimenticabile;
il blu profondo dei ghiacci più antichi, di migliaia di anni, il colore indescrivibile della profondità delle nostre storie ed esistenze;
il capodanno festeggiato sette volte, in coincidenza con i fusi orari delle nazionalità dei passeggeri, una sensazione diversa del tempo che viaggia e del viaggio nel tempo.
Il modo e l’angolazione da cui vedi il nostro pianeta ti cambia la vita in ogni aspetto, per questo vale la pena cercare il proprio “viaggio della vita”.