Quella roccia a strapiombo che vedete laggiù è Cape Horn, uno dei passaggi più impressionanti e paesaggi più mitologici che nostra Madre Terra ci ha donato; quelli che vedete con me sono i miei amici Raffaele e Marco, due compagni di viaggio che sempre porto nel mio cuore e con i quali ho condiviso la decisione di andare a vedere alcuni luoghi estremi del mondo, che immaginavamo e volevamo sperimentare. Il viaggio verso l’Antartide iniziò da Ushuaia, nella Terra del Fuoco argentina, pochi giorni dopo Natale (quindi in piena estate australe), sulla “Alla Tarassova”, un rompighiaccio dell’ex marina militare sovietica originariamente di stanza nel mare di Bering, riadattato per accompagnare spedizioni scientifiche e portare derrate e merci varie nelle basi antartiche. Accadde alla fine degli anni ’90, poco prima che l’Antartide fosse invaso dalle grandi navi da crociera che tanto fecero incazzare gli stessi scienziati e diversi esploratori, ma questa è un’alta storia. Era già ai tempi un viaggio piuttosto costoso, nel quale investii buona parte dei risparmi che avevo accumulato;  lo organizzai su internet, quando ancora non si capiva bene se poteva essere una truffa o meno. Il business dei viaggi su internet era agli albori, e ci voleva coraggio anche in questo. A Ushuaia il tempo può cambiare improvvisamente in pochi istanti, dal sole accecante alla nevicata improvvisa, e partimmo alle 4 del pomeriggio sfruttando una “finestra climatica favorevole” (così la definì il comandante della nave, russo come tutto l’equipaggio, mentre il leader della spedizione scientifica era cileno). Dopo più o meno un paio di giorni di navigazione con un clima favorevole e fantastico, tutto diventò improvvisamente feroce. Non so se erano “quaranta ruggenti”, “cinquanta urlanti” o “sessanta stridenti” (a questo credo non ci arrivammo), cambiò tutto in un istante. In un istante, ve lo assicuro, in un istante. Provai non proprio paura, ma un timore reverenziale profondissimo si installò in me (forse per la prima volta in quella forma estrema), la percezione, esaltante e terrificante al contempo, della precarietà e di come tutto possa cambiare in un istante. Non mi ha mai più abbandonato, e mi ha aiutato ad imparare la gestione delle paure più ancestrali, l’archetipo dell’uscita con immediatezza di quella che oggi chiamiamo la “zona di comfort”: mi sono reso conto più tardi che quell’esperienza, insieme con altre vissute, mi ha fatto uscire definitivamente dalla retorica della zona di comfort, che oggi vedo con disincanto. Sono piccoli immensi momenti di vita, credo che in molti li abbiamo vissuti, in diverse forme, e si ripresentano, sono sempre lì ad aspettarci, come abbiamo ben  presente ora. Capii anche il valore del silenzio in quei momenti: quando hai veramente timore taci, non sbraiti, ti concentri su quello che hai intorno e cerchi di capire. Uscire dal comfort vuol dire parlare poco, ascoltare, riflettere e rigenerare il pensiero illuminato dalla nuova esperienza; poi se ne parla, una volta che hai imparato qualcosa di nuovo, Confrontandoci poi durante il viaggio, scoprii che tutti avevano vissuta quella sensazione, e che proprio quella sensazione creò legami molto forti tra alcuni di noi. Un’altra cosa che mi colpì fu il fatto che durante la rotta di ritorno molti chiesero al Comandante di ripassare da quel luogo, quasi la sua forza di attrazione fosse irresistibile; il Comandante decise di girare al largo, non si sfida troppo la natura ruggente, non si può uscire tropo spesso dalla zona di comfort, quando lo hai fatto hai imparato qualcosa e hai allargato la tua esperienza, hai ricostruito il tuo perimetro per sempre. Poi riaccadrà, ma in altre circostanze, in altro segmento della tua storia
Ciascuno ha il suo Capo Horn.
Tengo a precisare che Carlito non ha mai avuto una barca da vela, né un gozzo, e nemmeno uno straccio di gommone, ha timore e rispetto del mare e non sa navigarci. Solo curiosità di quello che può esserci ed accadere. E se mai avessi avuto una barca non l’avrei certo tenuta lì in un porto turistico per farla vedere agli amici e farci qualche grigliata a poche miglia dalla costa, da ogni costa possibile.
Doppiare Capo Horn ti fa capire dove sta il tuo baricentro, e fin dove lo puoi spostare.
Ma quel vento interiore so cosa vuol dire, eccome se lo so.