David Bowie: il cambiamento come necessità e forma d’arte

Carlito’s Way

David Bowie
Il Cambiamento come necessità

Chi è il tuo “cantante preferito”? Uno in grado di cambiare sempre e non ripetersi mai.
Ground control to Major Tom mi è sempre sembrata una chiamata più romantica del celebre “Houston, abbiamo un problema”, forse perché al suo interno evocava già come sarebbe andata a finire e la promessa della sua accettazione: non c’è panico in quella frase. Grace under pressure.
Da ragazzi, si sa, si vorrebbe tentare di cambiare il mondo: forse è il momento della vita in cui sei più aperto al cambiamento attivo, dopo cerchi di fare in modo che il mondo non cambi troppo te. E da ragazzi, con alcuni amici, eravamo innamorati di David Bowie, perché era capace di cambiare sempre ed incarnava un modo di essere, ma ci dava anche la consapevolezza che “ground control” poteva sempre chiamarti da un momento all’altro, per quanto tu fossi convinto della bontà, e avvisato della complessità, della tua “missione”.
Allora non c’era da perdere tempo, Ziggy Stardust, era già diventato il Duca Bianco, e correva veloce verso le ombre dello Zoo di Berlino.
E non lo perdemmo, quel tempo.
Comprammo quei biglietti, e quando ci arrivarono per posta ci venne quasi da piangere: erano arrivati proprio a noi, ragazzi del paese, quei magnifici biglietti. E nel giorno giusto partimmo, con la nostra macchinetta e con tutta l’euforia possibile, senza niente altro, benzina, biglietti ed euforia.
Quel giorno era il 26 Maggio 1983, ed erano circa le 5 del pomeriggio quando entrammo nell’anfiteatro romano Les Arènes di Fréjus, il luogo scelto da Ziggy-Alladin-Duca per le date francesi del suo “Serious Moonlight Tour”, date in cui la luna piena doveva campeggiare nel cielo per illuminare il suo concerto e le 12.000 persone che potevano assistervi. E la luna c’era, eccome se c’era. Lo scenario era inimmaginabilmente suggestivo, man mano che arrivava il buio si accendevano luci fioche, mai in grado di contrastare la luce della luna e la tenue illuminazione dell’anfiteatro. Era come se il concerto fosse iniziato prima; la scenografia toglieva il fiato.
Quando “lui” uscì si accesero gli “occhi di bue” sulla sua figura e un’immensa luna illuminata iniziò a volare sospinta delle mani del pubblico, con una grande mano luminescente a completare la scenografia.
Tutto semplice e tutto grande: avere la luna in mano.
Era in una forma spettacolare, oltre che un uomo bellissimo, e il concerto fu un continuo cambiare di stili, tonalità, generi e sonorità. Poi arrivò Space Oddity, verso la fine, solo voce, chitarra acustica e luna: fu accolta da un boato rapidissimo, quasi come il ruggito de “Il Bacio della Pantera”, e poi da un silenzio totale, tutti zitti, non serviva altro, Major Tom era arrivato e bisognava rispettare la sua odissea.
Al ritorno, sull’auto, una strana atmosfera: per centinaia di kilometri restammo in silenzio, solo verso la fine del viaggio iniziammo a parlare, Major Tom ci aveva rapiti.
David Robert Jones, alias David Bowie, è stato non un artista, ma un genio, e per Carlito un simbolo gioioso e complesso della capacità di cambiare e di stupire, mai uguale a sé stesso, sempre fedele alla sua identità di tranformer: ecco, non bastava essere un perfomer, ma un transformer in grado di narrare storie sempre differenti.
Mi ha aiutato a comprenderlo presto, e ad essere fedele a questa idea.
L’ho visto altre due volte e ascoltato sempre, prima che diventasse Black Star, affermando il coraggio di annunciare la fine del viaggio di Major Tom nel giorno stesso in cui il viaggio terminò.
Qui da Ground Control c’è qualcuno che ti è grato e che ancora guarda la luna.