Carlito’s Way
Primo Maggio
Chi non lavora non ha l’amore
Sigmund Freud disse che la felicità sta in due cose: lavoro e amore.
Possiamo dargli torto? Chi ha altre opzioni è libero, anche perché io per primo aggiungerei la libertà.
Ogni anno, in questo giorno, si riempiono le piazze, sui palchi scorrono fiumi di parole (quasi sempre le stesse), le pagine abbondano di considerazioni di esperti più o meno autorevoli, ascoltiamo molte storie rumorose e poche silenziose, e musica, tanta musica.
Per molti è una “Festa”.
Ma in realtà non lo è; è una data di ricordo e riflessione, che non nasce storicamente da una storia felice.
Può apparire pedante ricordare che tutto nacque da uno sciopero di lavoratori a Chicago, nel 1886, quando la polizia sparò sugli scioperanti davanti alla fabbrica McCormick, i celeberrimi “fatti di Haymarket”, per il quali un anno dopo 12 persone furono impiccate (non fu impiccato chi sparò). Sarò pedante.
Solo tre anni dopo, nel 1889 a Parigi, fu “deciso” che il Primo Maggio sarebbe stata la “Festa dei Lavoratori”; fu stabilito in occasione della seconda internazionale socialista.
Una “festa” politica quindi; non a caso “la politica” ha sempre manifestato posizioni e atteggiamenti differenti su questa celebrazione.
Carlito non vuole certo rovinare la festa, solo riportarla nel suo giusto contesto.
E’ una celebrazione inclusiva? Non lo so, non ne sono così sicuro, anche se di questi tempi il mantra dell’inclusività è un trending topic irrinunciabile, anche se spesso di facciata (quando ne dobbiamo parlare siamo [quasi] tutti inclusivi a modo nostro, quando si tratta di praticarla sul serio l’inclusività, parliamone).
Certamente non sono inclusi ed incluse quelle 1.041 persone che, secondo i dati INAIL, hanno perso la vita sul lavoro negli ultimi 12 mesi, né quelle migliaia negli anni precedenti, né coloro che non ricadono nei dati INAIL perché non vengono “denunciate”, quelle morti; un ferito ogni minuto e un morto ogni otto ore, più o meno.
Sono loro che vanno ricordati e ricordate in questa data, a loro in primis va dedicata.
Retorica? Fate voi, chi preferisce chiudere gli occhi lo faccia, ciascuno usa il proprio sguardo a modo suo.
Ma è anche il giorno in cui pensare a chi fa lavori usuranti e pericolosi (quelli che rischiano di accorciarti la vita mentre ci sbracciamo sulla longevità), a coloro che un lavoro proprio non ce l’hanno e non lo trovano, a coloro che hanno perso la speranza di trovarlo e non lo cercano neanche più, ai ragazzi e alle ragazze che hanno il timore di non trovarlo, a coloro che con il loro lavoro pagano le tasse anche per tutti coloro che non lo fanno con assoluta pervicacia ed affidandosi a qualsiasi “forza politica” che permetta loro di non farlo, a coloro che non hanno diritti che altri hanno, e anche a coloro che hanno sì privilegi, ma non si dimenticano di chi non li ha, combattono anche per gli altri, non solo a parole e proclami.
Ma anche a coloro che danno una parte del proprio tempo a chi sta male o vive male, e a coloro che sono divorati dallo stress negativo alla continua ricerca di prestazioni sempre superiori a prescindere da ogni altra cosa, nell’abbaglio della grande bufala del “merito”.
Già, perché chi può veramente festeggiare è chi ha avuto la capacità o la buona sorte di trovare nel proprio lavoro una qualche forma di amore, e questo accade quando lavori per l’apprendimento, e non principalmente per la prestazione.
Ma di questo te ne accorgi nel tempo oppure, se hai la vista lunga, anche presto.
Come disse un giorno Indira Gandhi, “mio nonno (il Mahatma, per intenderci) mi disse una volta che ci sono due tipi di persone: quelli che fanno il lavoro e quelli che si prendono il merito. Mi disse di cercare di essere nel primo gruppo; ci sarà sempre molta meno competizione”.
Un giorno dolce e amaro quindi?
Sì, dolce perché il lavoro è amore, amaro perché il lavoro è anche sofferenza.
Buon Primo Maggio, da qui a tutti i prossimi.